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La storia di Francesca e Carlo

La storia di Francesca e Carlo
Quando è morta la mia Mati, io volevo trovare una soluzione proprio in senso chimico-matematico, volevo a tutti i costi che mi venisse fornita la "chiave" per dissolvere il problema, eliminarlo. Mi disperavo, muro contro muro, sopraffatta dall'impotenza di fronte ad un accaduto irreversibile e che in cuor mio sapevo di non poter risolvere. 
Per me il lavoro più complesso è stato questo: accettare l'irrimediabilità di quanto si era compiuto. La Mati non sarebbe rientrata da quella porta, fisicamente non sarebbe più stata con noi. Non saremmo più stati in quattro, con due splendide figlie da gestire, due sorelle tanto unite.

Ed è ancora questo nei miei momenti di sconforto che in fondo mi brucia, la nostalgia per una vita che avevo scelto e amato profondamente. La tristezza nel pensare che Sofia sia rimasta sola, senza una compagna-sorella di vita. La guardo struccarsi, messaggiarsi con le sue amiche, tornare in auto con ragazze dell'età di sua sorella e penso.. 

È un dolore straziante la perdita di un figlio. Non trovo altre parole per definirla. È buoi, è disperazione, lacerazione, schiacciamento... 

Non nego il dolore; parto sempre da lui, perché voglio che chi soffre, anche per ragioni diverse, sappia che questo rodimento è e rimane anche il mio. 

Ma non è disperazione cieca.. Non più!
Dopo 5 anni e mezzo, sono qui.
Sorrido, scherzo, ho progetti di vita.
Ho amici, che mi vogliono un gran bene ed io ne voglio tanto a loro.
Ho relazioni importanti con persone meravigliose.
Riesco a parlare di Matilde con serenità, che non vuol dire non commuoversi o negare la fatica, ma poterla gestire rassicurando chi mi sta intorno. 

Io, però, non ci riesco da sola. 

Per me è stato fondamentale e lo è ancora adesso essere aiutata da uno psicologo che ha fatto inizialmente da argine al mio dolore che come olio si espandeva ovunque.
Mi ha fornito piccoli punti luce di appoggio mentre vagabondavo frastornata nel buio più fitto.
Mi ha tenuto, sostenuto, accolto.
Non ha creato dipendenza, perché poi via via mi ha aiutato a farlo da me.
A trovare da sola il modo di confinare il dolore prendendomene cura, ma senza che invadesse tutta la mia vita.
Ad accogliere e accettare il buio, dialogando con lui ed esercitando in esso il mio margine di libertà nello scegliere come affrontarlo, come gestirlo. 
A ritornare a sentire la vita e tutto il suo brulichio. 

E poi i gruppi con genitori che hanno vissuto la stessa esperienza, che poi non è mai la stessa.
Qui è più difficile per me trovare le parole per descriverli perché se parlo di magia chissà cosa si possa pensare.. 

Non sono gruppi in cui ci si identifica in una perdita che stigma, in cui ci si piange addosso, in cui ci si sente tanto sfortunati.

Certo che lo siamo stati sfortunati! È inutile usare altre parole..
Odio chi celebra a tutti i costi le sfighe dicendo con superficialità che sono occasioni preziose, ma vaff...!! 

In questi genitori, nel nostro gruppo respiro una grande dignità.
Abbiamo tutti un grande desiderio di vivere. 
Abbiamo tutti un grande desiderio di celebrare la vita dei nostri figli in cielo. Siamo persone con una sensibilità elevatissima pur molto diverse. 

Ci vogliamo bene. Ci sosteniamo. Ci incontriamo a livello di anima, di cuore. 
Facciamo da ponte l'uno con l'altro, da sostegno, da rete, da paracadute, da trampolino di lancio.. 

Ridiamo, scherziamo, piangiamo insieme, ci consoliamo. 
Sono occasioni importanti per poter coccolare il nostro dolore. Per poter dare spazio, non solo con le parole, all'esperienza che abbiamo vissuto, che fa parte di noi e segna la nostra vita. 

Da qui è nata l'associazione "Tra Terra e cielo" che poi ha trovato la sua concreta realizzazione nella forza e determinazione di Elisa e Jacopo.

La motivazione che ci ha spinti è stata questa: non è possibile che altri genitori siano lasciati soli ad affrontare tutto questo! Devono essere aiutati così come abbiamo la fortuna di essere aiutati noi, naturalmente ben consapevoli che poi ognuno abbia il suo modo di vivere e affrontare il dolore.